Tanti anni fa, in un piccolo villaggio nell’entroterra chiamato Muffa, viveva un giovane spettinato di nome Hans Delbruck, che soffriva di due condizioni importanti: era sempre spettinato ed era povero come la merda.
La prima condizione aveva cercato di risolverla in ogni modo, applicando ai propri capelli dei prodotti più o meno appiccicosi, tagliandoli molto corti alla moda dei galeotti dell’Isola del Diavolo o indossando sempre un cappello che ne contenesse le bizze, ma tutto si era rivelato inutile: ogni volta la sua chioma prendeva direzioni inaspettate, cambiava forma come se fosse fatta di fumo, era asimmetrica da qualunque angolo la si guardasse. Insomma, sembrava sempre che il povero Hans Delbruck si fosse appena svegliato e non avesse avuto il tempo di pettinarsi.
Forse fu proprio per questo che Hans smise di pettinarsi, e col tempo anche di alzarsi presto, salvo per i suoi impegni lavorativi.
Sì, lo so che stavate pensando che Hans non avesse un lavoro e vivesse di rendita o di sussidi o di lavoretti a basso guadagno, ma lui aveva un lavoro fisso, cinque giorni la settimana, otto ore al giorno, pagato anche discretamente, presso una cartiera vicino a casa, la Dundero Miffolini: la sua specializzazione era disegnare le righe orizzontali sui quaderni, tutti i giorni stava seduto a una scrivania con un pennino sottile e un righello, e i colleghi gli portavano dei bancali carichi di quaderni appena stampati e rilegati. Hans si metteva lì e con molta precisione tracciava le righe su ogni pagina, da sinistra a destra, dall’alto al basso, dalla prima all’ultima, senza sbavature o interruzioni.
Ci metteva in media due ore a quaderno, quando ne terminava uno lo passava all’ufficio controllo qualità, dove una grossa signora dai capelli sparati e lo sguardo truce, che somigliava a Mama Addams però a colori, verificava che fosse tutto a posto e mandava il prodotto al reparto confezionamento, da cui venivano infine spediti. Con questi ritmi di lavoro l’azienda riusciva a smaltire solo ottanta quaderni al mese, quindi per coprire tutte le spese, che in una cartiera erano molto alte, avrebbero dovuto vendere ogni quaderno alla stessa cifra con cui ti potevi comprare una piccola automobile, ma riusciva a essere competitiva sul mercato grazie alla bravura del suo direttore, il signor Armando Miffolini, che aveva adottato un piccolo trucchetto imparato in una precedente attività: spacciava droga.
Quella di cartiera era solo una copertura, la vera attività della Dundero Miffolini era la produzione e distribuzione di ogni genere di stupefacenti, dalla cannabis alle droghe sintetiche; i suoi furgoni uscivano dall’azienda carichi di buste di cocaina infilate nei cartoni dei fogli A4, panetti di eroina camuffati da toner per stampante, pacchi di carta assorbente impregnata di lsd, scatolette di penne che invece contenevano funghetti allucinogeni, insomma tutto quello che potrebbe venirvi in mente quando osservate gli occhi di quel particolare ex Ministro dell’Interno.
A Hans tutto ciò non importava, per lui era importante fare bene il proprio lavoro e più di ogni altra cosa venire pagato alla fine del mese. Perché Hans Delbruck era un viaggiatore, col suo stipendio dignitoso conduceva una vita dignitosa ma senza strafare, mangiava il giusto, usciva con gli amici il giusto, comprava pochi vestiti e cercava di farseli durare, per investire ogni centesimo di quello che riusciva a risparmiare in biglietti aerei. Non importava la destinazione, vicino o lontano l’importante era partire, se trovava un biglietto abbordabile nelle due settimane di ferie che gli spettavano ogni estate lui lo comprava. Poi per dormire si era sempre arrangiato, in casa di qualcuno che metteva a disposizione un divano o in un ostello frequentato solo da persone che non si lavavano i piedi, non era un problema. Una volta aveva alloggiato sulla barca di un signore che di notte risaliva il fiume a pesca di pesci gatto, si era addormentato alla periferia della città e al mattino si era ritrovato trenta chilometri più a nord, in mezzo alla campagna; il suo ospite era sparito e aveva dovuto farsi un bel pezzo di strada a piedi prima di imbattersi in un’abitazione da cui farsi spiegare come tornare in centro.
Questa volta aveva trovato un biglietto per la Cina a un prezzo davvero vantaggioso, cosa non comune di quei tempi. Una volta, per andare in quella parte di mondo, si riuscivano a trovare compagnie aeree disposte a farti fare avanti e indietro con poche centinaia di soldi, a patto di fare scalo per dodici ore nella capitale del loro Paese e gustare le specialità locali. Il Paese in questione era una scrausa repubblica dell’Est Europa, le specialità locali erano le mignotte e il contrabbando di armi, ma le guide parlavano anche di un piatto molto pesante a base di cavolo e montone, e a Hans la cucina povera piaceva, e per quel prezzo non si sarebbe fatto problemi neanche per una bionda e un kalashnikov.
Ultimamente, però, la scrausa repubblica dell’Est Europa era in pessimi rapporti col vicino, un relitto del Patto di Varsavia con manie di imperialismo e un grosso arsenale, che ogni tanto abbatteva gli aerei di linea che passavano sopra il proprio territorio. Per arrivare a fare lo scalo nella scrausa repubblica dell’Est Europa non c’era problema, ma adesso non si poteva più volare sopra il relitto del Patto di Varsavia per raggiungere la Cina, occorreva fare un lungo giro, e di conseguenza i biglietti erano diventati carissimi.
La svolta, per Hans, era stata cenare in un all-you-can-eat e mettersi a parlare con la proprietaria, che stava alla cassa e amava dire qualche frase scherzosa ai suoi clienti, tipo nocàlta o plendebiscottofoltuna; le aveva accennato al desiderio di visitare la Cina e al fatto che i biglietti costassero l’iradiddio, e la signora l’aveva preso in simpatia e gli aveva dato il numero di telefono di una sua cugina che aveva un’agenzia di viaggi per cinesi e poteva procurargli un biglietto a un prezzo conveniente.
I cinesi espatriati si appoggiano a un loro mercato parallelo nei Paesi in cui si trasferiscono, composto da una rete di attività commerciali che vanno dal negozio di alimentari al notaio all’idraulico, fino all’agenzia di viaggi. Sono esercizi che utilizzano solo loro e servono per facilitare la vita ai membri di quella comunità così discreta. È per quello che non avete mai incontrato un cinese al supermercato o al ristorante, se li volete incontrare dovete andare dove vanno loro, ed entrare in quel mondo nascosto dove le etichette dei prodotti sono in cinese e le patatine sullo scaffale sono aromatizzate alla lingua di anatra o alla zampa di maiale.
L’agenzia si chiamava Mario Wong Viaggi Italia Cina, e organizzava itinerari nel nostro Paese per clienti che arrivavano da quel posto là. Aveva pacchetti per una o più settimane, ti metteva a disposizione un pulmino, una guida cinese e ti faceva girare le città più famose per i cinesi, Roma Venezia e Milano, alloggiando in ottimi hotel cinesi a due passi dal centro; erano preparatissimi anche sulle Cinque Terre o su qualsiasi località potesse venirti in mente.
Noi della Cina non sapremmo elencare tre posti oltre alla capitale, loro sono in grado di farti trascorrere un’ottima vacanza in ogni posto che possa fruttare una generosa commissione, fosse anche Roncobilaccio.
L’agenzia Mario Wong aveva la sede da qualche parte a Milano, ma gli permise di fare tutto via telefono; gli prenotò il volo, gli inviò i moduli necessari per ottenere un visto turistico e si occupò di inoltrarli all’ufficio preposto per questo genere di menate, aspettò il tempo necessario affinché fossero espletate le formalità burocratiche, e solo a quel punto gli presentò il conto, che era effettivamente parecchio più basso di quello offertogli dalle varie piattaforme online di acquisto biglietti, ma superava ancora di qualche centinaio di soldi la disponibilità finanziaria di Hans.
Il fatto era che, dopo che aveva cominciato la pratica per ottenere il biglietto e i documenti, Hans aveva avuto un terribile contrattempo: era stato invitato al matrimonio di suo cugino Svevo Mariani, e aveva dovuto comprargli un bel regalo di nozze scelto dalla lista. Non poteva sceglierne uno micragnoso, perché era l’unico cugino, e Svevo era molto legato a quel suo cugino spettinato, e anche il posto alla Dundero Miffolini gliel’aveva procurato lui grazie a una vecchia amicizia che lo legava al proprietario, e che era solito tirare fuori dopo che aveva bevuto qualche birra di più, quando raccontava di qualche episodio del loro passato comune che in genere terminava con l’apparizione di una pattuglia della polizia.
La lista nozze di Svevo era stata preparata in una gioielleria, e comprendeva diversi modelli di orologi di marche prestigiose, una parure in oro e pietre preziose, qualche ninnolo di perla e altri articoli la cui utilità appariva a Hans inversamente proporzionale al prezzo scritto sul cartellino. L’unico articolo sotto i trecento soldi era un tagliacarte d’argento le cui dimensioni facevano pensare più al film del mostro con la maschera da hockey che a un matrimonio. Ovviamente era anche l’unico articolo in lista già acquistato.
Hans sborsò a malincuore quasi metà del suo budget ferie, e non fece in tempo a chiedersi come rientrare di quella spesa che gli squillò il telefono, e quando vide il nome sullo schermo ebbe un sussulto: era la Mario Wong, avevano concluso le pratiche e adesso volevano i soldi.
E così adesso sapete anche perché il giovane Hans Delbruck era povero come la merda pur avendo un buon lavoro. Invece, per sapere se riuscì a trovare il denaro necessario per pagarsi il viaggio dovete aspettare che scriva la seconda parte.
(continua)